La chiesa di Santa Maria del Carmine
STORIA
In età medioevale, con l'arrivo a Padova dei frati carmelitani del monte Carmelo verso il 1292, ha inizio la storia della comunità del Carmine.
Grazie alla donazione di alcune case da parte di Antonia, moglie di Tomasino Palmerio degli Episcopelli e a donazioni e lasciti successivi, nell'ultimo decennio del XIII secolo i frati dell'Ordine carmelitano poterono costituire in Padova la loro fondazione “in borgo novo, contrada di S. Leonardo, Parrocchia di S. Giacomo”.
Pubblicazioni anche recenti insistono nel riportare la erronea tradizione che sul sito dell'insediamento dei Carmelitani esistesse in precedenza un oratorio della Purificazione con annesso convento di monache, come riportato in Portenari (A. Portenari, Della felicità di Padova, 1623) che cita l'Ongarello (ms. anno 1441).
Già la prof. Gasparotto (C. Gasparotto, S. Maria del Carmine, Padova, 1955, p.68), scrupolosa frequentatrice di archivi, aveva scritto che nel ms. di Ongarello, da lei consultato in più copie, nulla si dice a tal proposito, puntualizzazione ribadita dal prof. Universo (M. Universo, S. Maria del Carmine, in: Basiliche e chiese, a cura di C. Bellinati-L. Puppi, Vicenza, 1975) a p. 201 del suo saggio.
Ottenuta la convalida del loro insediamento da parte del Papa (bolla di Bonifacio VIII 28 luglio 1297) e del Vescovo cittadino (lettera-licenza di Ottobono 24 Ottobre 1300) i frati carmelitani chiesero il permesso di costruire una chiesa per la loro predicazione.
La costruzione, iniziata nel secondo decennio del Trecento, fu completata solo agli inizi del Quattrocento, Già alla fine di questo secolo “per forte nevicata e terremoto” la copertura della chiesa crollava danneggiando irreparabilmente anche la sacrestia e il dormitorio dei frati.
Restavano in piedi i muri perimetrali, la facciata con il bel portale ligneo del 1412, l'abside.
Il verbale del 30 gennaio 1491 dove si documenta la rovina della chiesa, crollata il 25 gennaio 1491 dalla metà in su con tutto il tetto, ci permette di acquisire le informazioni relative alla chiesa trecentesca.
Già pochi giorni dopo l'evento (30 gennaio 1491) si riuniva il Consiglio cittadino per deliberare il restauro della chiesa, incaricando due dei quattro deputati sovrintendenti alle chiese e al decoro del culto di reperire i fondi necessari al restauro, che si prospettava oneroso e per il quale le sole risorse finanziarie dei Carmelitani (rendite e offerte dei fedeli) non sarebbero bastate.
Anche questa ricostruzione fu lenta, più volte interrotta e ripresa.
Per incrementare le risorse finanziarie fu rivolta al Senato Veneto una supplica volta ad ottenere il condono dei debiti pubblici dovuti dai Carmelitani e l'esenzione decennale dal pagamento delle decime e dei dazi.
Fu anche inoltrata al Papa la richiesta di concedere l'indulgenza plenaria a coloro che avessero contribuito finanziariamente al restauro della chiesa. L'indulgenza fu concessa solo nel 1504 e prorogata nel 1506 (Bolle di Papa Giulio II: 23 marzo 1504 e 12 marzo 1506).
Tra i Padri carmelitani che sostenevano un progetto più ampio (e più oneroso) e i Deputati cittadini che si preoccupavano per i costi si raggiunse un accordo nel settembre 1493.
Fu così possibile stilare i contratti: con il lapicida (scultore) Francesco fu Donato (31 maggio 1494) “per il fregio, interno ed esterno, de una cuba (cupola)” e con il muraro (architetto) Zuan de Richardo (9 giugno 1494) “per ordenar e far fare quattro arconi e una cuba (cupola) de muro con tutte le cose e i magisteri necessari alla costruzione di detti arconi e di detta cuba”.
I lavori vennero presto interrotti e un nuovo contratto fu stilato l'anno seguente con due maestri emiliani, in quel momento all'opera nel vicino convento di S. Giovanni di Verdara: il maestro inzegnero Lorenzo fu Simone da Bologna e il maestro Pier Antonio fu Paolo da Modena.
Lorenzo è il primo architetto che introduce a Padova il nuovo linguaggio rinascimentale, come ha messo bene in luce Angelo Bartuccio nella sua recente tesi di laurea (La chiesa di S.Maria del Carmine e l'architettura quattrocentesca da Firenze a Padova, Università degli Studi di Padova, a.a. 2015/16), operando nel suo lavoro puntuali confronti con chiese rinascimentali a Firenze (S. Spirito) e a Ferrara (S. Benedetto).
Chiamato a rinnovare la chiesa del Carmine, Lorenzo recuperò quanto più possibile della vecchia chiesa, conservandone i muri maestri, l'abside e la facciata, cercando di armonizzare il vecchio con il nuovo nel rispetto della statica dell'edificio dal momento che il progetto prevedeva di elevare l'altezza della navata. A Pier Antonio da Modena si attribuisce la direzione dei lavori della cupola.
I lavori ripresi dove erano stati interrottti da Zuan de Richardo, furono nuovamente interrotti per la morte di Pier Antonio (1497).
Un nuovo contratto fu stipulato allora con Lorenzo, affiancato dal maestro Bertolino fu Giovanni da Brescia (27 aprile 1499).
Anche Bertolino morì prima che i lavori giungessero a compimento e Lorenzo, impegnato anche in altri lavori, lasciò l'incarico al Carmine nel 1502.
Nel maggio 1503 a dirigere i lavori fu chiamato Biagio Bigoio da Ferrara che finalmente li concluse nel 1523.
L'architetto cercò di equilibrare la sproporzione evidente tra l'altezza delle cappelle laterali della vecchia chiesa mantenute da Lorenzo e della navata, mediante un gioco di cornici. Più avanti nel tempo questo equilibrio fu ricercato anche attraverso la successiva decorazione pittorica.
Se si vuole avere una documentazione visiva dell'esterno e dell'interno della chiesa nel Cinquecento si osservino i dipinti di G.B. Bissoni (1574 c.-1634 c.) nella cantoria dell'organo (lato destro).
Dove si manifesta più compiutamente l'ariosa spazialità rinascimentale progettata da Lorenzo da Bologna per il Carmine è nella sacrestia, a pianta rettangolare prossima al quadrato, illuminata da una luce diffusa che penetra dai finestroni che danno verso il chiostro. Sul lato opposto alle finestre si apre una scarsella, pure illuminata da una monofora, che presenta strette analogie con la cappella nova dedicata alla Vergine Maria, nel Palazzo vescovile di Padova, anche per la presenza della valva di conchiglia del semicatino absidale. Autore del progetto fu quasi sicuramente Lorenzo che ottenne la commissione dal Vescovo Pietro Barozzi, uomo di raffinata cultura umanistica che nei vent'anni del suo episcopato molto si attivò per la trasformazione in senso rinascimentale del palazzo vescovile.
La facciata odierna della chiesa del Carmine appare incompiuta. La vecchia, in origine preceduta da un portico come altre chiese padovane del Trecento (il Santo, i Servi, gli Eremitani), fu demolita agli inizi del Settecento. Del nuovo progetto dello scultore e architetto Giovanni Gloria (1694-1759): solo la parte inferiore è stata realizzata con un rivestimento in pietra d'Istria, mentre quella superiore è tuttora in laterizio. Nel 1998 è stato eseguito un restauro della facciata e del portale ligneo del 1412.
Sopra il timpano del portale sono collocate le statue delle Virtù teologali Fede, Speranza, Carità, opera di Tommaso Bonazza (1696-1776), oggetto di un recentissimo restauro (2016). La Virtù della Carità, posta sulla cuspide del timpano, è rappresentata dalla Vergine Maria con il Bambino in braccio, a destra la Fede, a sinistra la Speranza.
Il paramento murario esterno è caratterizzato sui lati e nella zona absidale da lesene e archetti ciechi, secondo un motivo decorativo tipico delle chiese padovane specie nel Tre e Quattrocento. Sul lato occidentale (via Tasso) si nota il profilo estradossato delle cappelle laterali, la cui altezza è di molto inferiore a quella della navata. Come specificato in precedenza, le cappelle sono parte della vecchia chiesa del Trecento, come lo è l'abside oggi poco visibile, per la presenza di altri edifici, ma la cui vista andrebbe valorizzata.
La cupola semisferica cuba de piera alla cui prima esecuzione sovrintese Pier Antonio da Modena, nei secoli crollò e fu ricostruita più volte: nel 1800 si incendiò a causa delle luminarie in onore del Papa Pio VII e si provvide alla ricostruzione soltanto nel 1839. Un completo rifacimento sia della calotta lignea interna sia del rivestimento esterno in piombo fu compiuto nel primo decennio del Novecento, ma un nuovo disastroso evento accadde pochi anni dopo quando il 28 dicembre 1917 uno spezzone incendiario colpì la cupola. Il piombo del rivestimento fuse facendo penetrare il fuoco nella sottostante struttura lignea. Per oltre un decennio vi fu una copertura provvisoria finché si provvide (1930) al rifacimento della cupola che ancora oggi si eleva sul profilo cittadino con il suo caratteristico colore verde.
L'ing. Mario Ballarin progettista esecutivo e direttore dei lavori optò per una intelaiatura di ferro (peso 27 tonnellate) rivestita di un tavolato di legno ricoperto di lastre di rame (peso complessivo 5 tonnellate) al posto del piombo della cupola precedente.
Internamente oggi la chiesa presenta una navata unica con finta volta in traliccio e arconi dipinti, rifacimento della cinquecentesca volta originaria, crollata nel 1696, con un profondo presbiterio sopraelevato su cui si erge la cupola.
Al lati della vasta unica navata si susseguono le cappelle laterali che mantengono l'altezza della chiesa trecentesca, avevano destinazione funeraria con tombe sotto il pavimento antistante le cappelle. Gli altari delle cappelle subirono nel tempo vari spostamenti e titolarità come si dirà più oltre.
Nei tempi passati sotto il patronato di famiglie cospicue come i de Lazara, i Giesia, gli Justachini e di confraternite quali i Lanari o i Mugnai furono abbellite con opere d'arte scultoree o pittoriche.
I catini absidali di queste cappelle erano affrescati. In seguito questi affreschi furono scialbati, tranne quello della prima cappella a sinistra (i Lanari, patroni dell'altare, si opposero infatti allo scialbo) e della seconda cappella sempre a sinistra.
E' appena terminato il restauro della cappella dedicata alla Madonna del Carmine che ha riportato alla luce l'affresco del catino absidale, noto da fonti documentarie, ma ricoperto da due strati di intonaco.
Il dipinto, commissionato dal nobile Pio Conti nel 1541 raffigura la Trasfigurazione di Cristo: al centro domina la maestosa figura di Gesù, affiancato da Mosè con le tavole della legge a destra e di Elia a sinistra. Nella parte inferiore dove dovevano trovarsi gli Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni invece restano solo due braccia. Dalle fonti sappiamo che in quegli anni lavoravano al Carmine Dario Varotari e Stefano dell'Arzere, ma ipotesi più recenti propendono per l'intervento di Domenico Campagnola. L'affresco sarà comunque oggetto di ulteriori studi.
Riveste un interesse storico-documentario la cappella dei Molinari o Mugnai (seconda a destra), perché nel paliotto marmoreo dell'altare appare l'antico borgo medievale, caratterizzato dalla presenza dei mulini sul Tronco Maestro, utilizzati sia per macinare le granaglie sia per le esigenze dei Conciapelli della contrada limitrofa.
Il paliotto dell'altare eseguito con la tecnica del commesso marmoreo è diviso in pannelli: al centro siede la Madonna col Bambino in braccio recante lo scettro sulla mano destra protesa e con alle spalle un drappo marmoreo di colore verde a guisa di baldacchino. A destra e a sinistra della Madonna si trovano due chiese con annesso campanile che la storica C. Gasparotto (1955) ipotizzava potessero essere quelle di S. Giacomo e del Carmine. Sotto la figura della Vergine vi è l'iscrizione dedicatoria della Fraglia alla Beata Vergine. Ai lati del pannello centrale stanno i Santi Rocco e Sebastiano patroni dei Mugnai.
Alle estremità i pannelli dei molini: a sinistra di chi guarda, sono rappresentati i molini di città, posti sull'acqua presso le arcate del vecchio ponte romano, sopra il ponte alcune case e una colonna, a destra i molini di campagna in un paesaggio con alberi, case e chiesa con campanile. Nel cielo volano bianchi colombi simbolo della provvidenza.
Il vasto presbiterio fu rinnovato negli anni 1932-34 con affreschi esaltanti la figura di Maria, opera del pittore bolzanino Antonio Sebastiano Fasal in occasione del rifacimento della cupola, di qualità senz'altro inferiore alle altre opere d'arte presenti in basilica.
Il 25 marzo 1944 un bombardamento fece nuovi danni, bucando il soffitto della chiesa, producendo il crollo dei tetti degli edifici sopra il chiostro, distruggendo il soffitto della Scoletta e la canonica.
Subito dopo la guerra si diede inizio ai lavori di ricostruzione cominciando dalle coperture degli edifici. Ulteriori restauri sono stati compiuti in anni più recenti.
A fianco della chiesa sorgeva il convento che comprendeva due chiostri: il chiostro detto del Capitolo su cui si affacciava la sala omonima, impreziosito dal bel loggiato cinquecentesco al piano superiore, opera di Biagio da Ferrara e il chiostro Grande a est del primo, il refettorio e il dormitorio dei frati.
L'intensa attività dei frati Carmelitani predicatori e fondatori di una scuola di Teologia che ebbe il massimo della fioritura nel Trecento si protrasse fino al 1810, anno della soppressione degli ordini monastici secondo l'editto napoleonico.
A seguito dell'allontanamento forzato dei religiosi e dell'incameramento dei beni ecclesiastici da parte del demanio la chiesa del Carmine avrebbe dovuto essere demolita.
Per l'intervento del nobile conte Maldura abitante della contrada e capo fabbricere di S. Giacomo, parrocchia entro i cui confini era il Carmine e in accordo con il Vescovo Dondi dell'Orologio, fu concessa dal demanio la permuta della fatiscente chiesa di S. Giacomo con la chiesa del Carmine cui fu trasferito il titolo di parrocchia (21 ottobre 1810).
Il papa Pio X (decreto 16 luglio 1914) elevò a Santuario la chiesa del Carmine e il vescovo mons. Elia Dalla Costa (16 ottobre 1927) onorò l'immagine della Madonna dei Lumini con una corona aurea, sopra le teste della Vergine e del Bambino, simbolo di gloria e venerazione.
Con bolla di papa Giovanni XXIII del 7 ottobre 1960 alla chiesa del Carmine fu attribuito anche il titolo di Basilica minore, sotto la protezione diretta del Papa. Per una più dettagliata cronistoria della parrocchia di Santa Maria del Carmine si consiglia la consultazione del testo "Ai Carmini" a cura di mons. Alberto Peloso, attuale parroco della parrocchia (cliccare qui per visualizzare il testo).
Sorte diversa ebbe il convento, rimasto al demanio fino ai primi anni del Novecento e adibito a caserma. Il bombardamento del 1944 aveva danneggiato gravemente anche il chiostro Grande, che fu demolito nel 1954; nell'area oggi si trova la Scuola Media Giotto.
Il chiostro del Capitolo è stato accuratamente restaurato tra il 1982 e il 1986; il restauro ha permesso di valorizzare l'ariosa architettura rinascimentale del piano superiore riaprendo le logge che erano state tamponate nei secoli scorsi.
Anche la sala del Capitolo, alcuni decenni fa utilizzata come sala giochi del Patronato, è diventata uno spazio per attività culturali, luminosa e accogliente. La sala si affaccia sul chiostro con un bel portale a tutto sesto, affiancato da eleganti bifore archiacute trilobate, due per lato, lavorate dallo scultore Antonio di Cristoforo (1401).
In occasione del restauro sono venute alla luce e messe in evidenza tracce delle preesistenze trecentesche: le porte del refettorio, le finestre affacciate sul chiostro, archi e peducci di innesto delle arcate trecentesche i coppi del coperto e della porta del refettorio cinquecentesco.
Arte nella Basilica del Carmine
Santuario mariano per eccellenza della città di Padova, la chiesa del Carmine è stata, fin dalla sua origine, cara ai Padovani non meno che agli abitanti della Provincia.
Nel corso del tempo molti sono stati gli interventi decorativi nella chiesa del Carmine; specialmente dopo la ricostruzione in seguito al rovinoso crollo del 1492.
Facciata
La facciata presenta un rivestimento marmoreo solo nella parte inferiore (1737), mentre il resto è rimasto al grezzo Al centro tra due semicolonne con capitello ionico sovrastate da un timpano con cornice dentellata e due lesene spicca il prezioso portale ligneo (1412), il più antico di Padova, composto da quaranta formelle quadrate finemente lavorate ad intaglio con motivo a foglie di acanto variamente modellate. Il manufatto non ha alcuna protezione e necessiterebbe di urgenti restauri.
Sopra il portale, le statue delle Virtù Teologali: Fede, Speranza, Carità, opera dello scultore Tommaso Bonazza (1696 ca-1775), poste entro nicchie sopra il timpano. Le statue di recente sono state oggetto di un delicato restauro: data la fragilità della pietra di Vicenza e la loro collocazione all'esterno esse si presentavano molto frammentate, tanto che si è dovuto intervenire in loco. Oggi possiamo ammirare la perizia di tale intervento. La statua centrale della Madonna con Bambino, rappresentante la Carità, in origine aveva una corona metallica sul capo, ritrovata nella parte posteriore della statua stessa, ma non ricollocata in situ perchè troppo corrosa.
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Facciata esterna
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Portale
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Portale, particolare
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Portale, particolare
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VIsta da via Giotto
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Interno
La chiesa presenta una ampia navata, fiancheggiata da sei cappelle per ciascun lato. L'altezza delle cappelle laterali, molto inferiore rispetto a quella della nave, rispecchia la struttura originaria, cioè quella della chiesa trecentesca, gli altari e le decorazioni invece hanno subito variazioni anche di rilievo nel corso dei secoli.
Le cappelle, rinnovate tra il XVI e il XVIII secolo, avevano funzione funeraria con tomba a terra, antistante la cappella e furono dotate di affreschi, pale d'altare e statue dalle famiglie proprietarie in onore dei propri defunti.
All'ingresso, le due acquasantiere accolgono due stauette marmoree, opera di Giovanni Bonazza (1654 c.-1736), raffiguranti S. Alberto e l'Immacolata. Al centro domina la statua lignea del Crocifisso, opera del tardo Quattrocento, proveniente dalla vicina chiesa soppressa di S. Fermo.
Controfacciata
Sopra il portale d'ingresso: "Assunzione della Madonna", "Monumento funebre del capitano Giovanni Naldo" (morto in combattimento nel 1528), attribuito allo scultore Danese Cattaneo, sovrastato dallo stemma crociato della città di Padova. Lo stemma patavino testimonia la funzione civica della chiesa del Carmine dopo il 1576, anno della miracolosa cessazione della peste ed è presente anche in altre parti della chiesa. Volgendo le spalle all'altare maggiore, a sinistra: "Onorio IV conferma la Regola carmelitana", opera attribuita a Francesco Zanella (XVII-XVIII sec.) a destra: "Angelo annunziante" e "Vergine annunciata", di Dario Varotari (1576), il grande dipinto si trovava un tempo sopra l'altare maggiore da cui fu tolto nel 1792 perché bisognoso di restauro.
Sotto, due iscrizioni commemorative si riferiscono rispettivamente alla proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione (1854) e al trasferimento del titolo parrocchiale da S. Giacomo alla chiesa del Carmine (1810). Lungo la navata in alto e in corrispondenza delle sottostanti cappelle, grandi teleri seicenteschi dipinti ad olio raccontano episodi legati all'ordine dei Carmelitani, opera di autori per lo più padovani.Tali dipinti contribuiscono in parte a riequilibrare la sproporzione tra l'altezza della navata e quella delle cappelle.
Negli estradossi delle cappelle un recente restauro (2005) ha reso nuovamente visibili le figure di "Profeti" e "Sibille", scialbate nel Settecento. Tradizionalmente attribuite a Dario Varotari e Stefano dall'Arzere, oggi si avanza l'ipotesi che l'autore sia Domenico Campagnola.
Quasi tutti gli altari nel corso del Settecento subirono lo spostamente dalle cappelle per le quali erano stati progettati, qui si dà conto della sistemazione attuale.
Cappelle laterali di sinistra
I Cappella
Altare della Madonna Vecchia o dei Lanari (Battilana), antica confraternita che aveva la propria sepoltura sociale presso questo altare, rinnovato a spese della fraglia nel 1702. I Lanari si opposero strenuamente alla scialbatura degli affreschi della loro cappella: "Profeta Zaccaria" e "Sibilla tiburtina" sugli estradossi e "Assunzione" nel catino, opera del XVII-XVIII sec. di F. Gazzadori, oggi molto restaurata. Sull'altare attualmente vi è un piccolo dipinto raffigurante "S. Valentino risana un bimbo", opera di scuola del Padovanino.
Tenero: "Visione di S. Bertoldo delle stragi operate dai Turchi" (G.B. Pellizzari, 1659)
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Altare della Madonna Vecchia o dei Lanari
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Particolare
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II Cappella
Altare di S. Antonio. L' altare marmoreo del XVII sec. ospita attualmente una statua del Santo realizzata da Vincenzo Cadorin (1854-1825) e dipinta dal figlio Guido (1892-1976). Il catino absidale, dipinto ad olio da Giovanni Vianello (Padova 1873-1926 ), ora molto deteriorato, raffigura "S. Bonaventura mostra ai fedeli la sacra e incorrotta lingua di S. Antonio" (1910). Sulle pareti della cappella sono collocati due stemmi della famiglia de' Lazara, provenienti dalla loro cappella (6° a sinistra).
Telero: "Il patriarca S. Cirillo resuscita un morto" (G.B. Pellizzari, 1659)
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III Cappella
Altare di S. Maria Maddalena de' Pazzi, mistica carmelitana (canonizzata nel 1669). In origine l'altare era dedicato al carmelitano S. Pietro d'Alcantara dal nobile Vincenzo Giesia, committente della stessa cappella. Sull'altare la pala "Cristo incorona di spine S. Maria Maddalena de' Pazzi" (1671-72), proveniente dalla cappella absidale dedicata dallo stesso Giesia alla Santa fiorentina, è opera del pittore padovano Giulio Cirello.
Telero: "Elia, rapito in cielo getta il proprio mantello a Eliseo" (G.B.Pellizzari, 1660)
IV Cappella StoriaArte_Basilica_Altari_Sinistra_4
Altare della Croce. L'altare è opera di Bartolomeo Dindini. Committente la famiglia Montoni il cui stemma compare sia sulla trabeazione che nel paliotto. Sopra le nicchie laterali due bassorilievi: "Salita di Cristo al calvario" e "Sepoltura di Cristo" di M. Antonio de' Sordi, autore anche delle due "Marie" ai lati della Croce
Telero: "Elia, svegliato da un angelo, si mette in salvo dalla persecuzione di Jezabele" (G.B. Pellizzari, 1660)
V Cappella StoriaArte_Basilica_Altari_Sinistra_5 Altare della Madonna del Carmine http://carminepd.it/images/storia_arte/basilica/altari_lato_sinistro/DSC_0792_Sx_A5.jpg Affresco ritrovato http://carminepd.it/images/storia_arte/basilica/altari_lato_sinistro/DSC_0793_Sx_A5.jpg
Altare della Madonna del Carmine. Rinnovata nel 1539 dal nobile Pio Conti, come testimoniato dalle lapidi commemorative in situ e dalla lastra tombale della famiglia Conti sul pavimento antistante la cappella, era originariamente dedicata a S. Alberto carmelitano.
L'altare settecentesco ospita ora la statua lignea della Madonna del Carmine, già sull'altare della cappella dei Mugnai. Il recente restauro ha recuperato ciò che rimane dell'affresco del catino, con la "Trasfigurazione di Cristo", commissionato dallo stesso Conti, come risulta dal suo testamento steso nell'aprile del 1541. Per l'affresco ritrovato, ancora oggetto di studio, si ipotizza la mano di Domenico Campagnola, autore tra i più affermati in città.
Telero: "Il fuoco sacro dal cielo consuma l'olocausto di Elia" (O. Gabrielli)
VI Cappella StoriaArte_Basilica_Altari_Sinistra_6 Altare del Sacro Cuore di Gesù http://carminepd.it/images/storia_arte/basilica/altari_lato_sinistro/DSC_0789_Sx_A6.jpg
Altare del Sacro Cuore di Gesù, con statua lignea novecentesca. La cappella era di proprietà dei de' Lazara. L'altare ospitava il famoso polittico di Francesco Squarcione. Il Brandolese ritrovò il polittico nel 1789, abbandonato nel dormitorio dei frati e lo fece portare presso i Musei Civici dove si trova attualmente. Delle tre lapidi funerarie di membri della famiglia rimane in situ solo una, le altre due sono state murate nella cappella di S. Antonio.
Telero: "Predicazione di S. Angelo, carmelitano, e suo incontro con S. Francesco e S. Domenico" (G. Specchietti, 1645)
Cappelle laterali di destra
I Cappella
Altare delle Anime o dei Morti, già della SS.Trinità. Lodovico Justachini nel 1688 commissionò l'importante complesso barocco attribuito alla scuola di Filippo Parodi, allievo del Bernini , attivo negli stessi anni nella basilica del Santo (1687/89). Ai lati le statue di S. Girolamo e di S. Maria Maddalena. La ricca cornice marmorea di angeli in volo inquadra una modesta pala ottocentesca con "S. Orsola".
Telero: "I Corosmaniani trucidano i Carmelitani in Palestina" (1688?)
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II Cappella StoriaArte_Basilica_Altari_Destra_2 Altare della Madonna della Fraglia dei Molinari https://carminepd.it/images/storia_arte/basilica/altari_lato_destro/DSC_0727_DxA2_AltareMugnai.jpg Altare della Madonna della Fraglia dei Molinari Particolare del paliotto Altare della Madonna della Fraglia dei Molinari Paliotto Altare della Madonna della Fraglia dei Molinari https://carminepd.it/images/storia_arte/basilica/altari_lato_destro/DSC_0731_DxA2_MadonnaScura.jpg
Altare della Madonna della Fraglia dei Molinari. Rinnovato nel 1688 a spese della Fraglia, ospitava la statua lignea della Madonna, ora sull'altare della Madonna del Carmine. La statua attuale della Madonna Addolorata è in cartapesta. Grande interesse documentario riveste il paliotto marmoreo pentapartito: raffigura a sinistra e a destra il ponte Molino a tre arcate (dell'antico ponte romano in origine a cinque arcate, oggi è visibile solo una), con i mulini di città (a sinistra) e di campagna (a destra), al centro la Vergine in trono con il Bambino, in trono tra i compatroni S. Rocco e S. Sebastiano.
Telero: "Predicazione di Giovanni Battista nel quale rivive lo spirito di Elia"
III Cappella
Altare di S. Teresa d'Avila. Dedicato alla riformatrice del Carmelo femminile e del ramo dei Carmelitani scalzi. La pala con "S. Teresa" è opera di G.B. Pellizzari (c. 1639), mentre le statue marmoree dei profeti Elia ed Eliseo (post 1739) sono di Tommaso Bonazza.
Telero: "S. Pier Tomaso, carmelitano, predica la crociata contro i Turchi" (P. Vecchia? XVII sec)
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Altare di S. Teresa d'Avila.
IV Cappella
Altare di S. Alberto. Realizzato da Bartolomeo Cavazza (1539/40) su committenza del nobile Pio Conti. Le statue marmoree rappresentanti S. Alberto tra S. Giobbe e S. Sebastiano sono di Agostino Zoppo.
Telero: "Il beato Teodorico Alemanno libera una indemoniata" (G.B. Pellizzari, 1660)
Pulpito in noce, disegnato da Giovanni Gloria, 1736.
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Altare di S. Alberto
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Pulpito in noce
Pulpito in noce, disegnato da Giovanni Gloria, 1736
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V Cappella
Altare di S. Libera. La reliquia, proveniente dalle catacombe di S. Saturnino a Roma e ritenuta della Santa di nome Libera fu donata alla chiesa del Carmine dal nobile medico Sante Bordegato. Poiché tuttavia non è stato mai accertato se la reliquia sia davvero della Santa e non invece di una donna chiamata Libera, si preferisce non esporla al pubblico. Sull'altare vi era in origine una pala di Dario Varotari raffigurante S. Libera, di cui purtroppo si sono perse le tracce. Lo stemma con il castello è della famiglia Anselmi, signori di Cardano (Como), titolari della cappella prima del Settecento.
Telero: "La Vergine compare alla madre del beato Franco Lippi, carmelitano"
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VI Cappella
Altare di S. Giacomo. Dopo il 1810 su questo altare marmoreo del XVII secolo venne collocata la pala: "Cristo indica a S. Giacomo e S. Giovanni la croce, alla presenza della loro madre", opera di Alessandro Varotari, detto il Padovanino (XVII sec.). La pala ornava l'altare maggiore della chiesa di S. Giacomo e venne trasferita al Carmine quando la chiesa diventò sede parrocchiale (1810).
Telero: "La Vergine concede la grazia alla famiglia Gamberini" (1643)
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Oltre le cappelle si apre la porta della sacrestia: aula di chiaro impianto rinascimentale con piccola abside ospitante l'altare, opera dell'architetto Lorenzo da Bologna.
Ancora oltre, di fianco al presbiterio una nicchia ospita un Cristo deposto, copia di uno più antico, proveniente dalla antica chiesa della SS. Trinità (parrocchia contigua a S. Giacomo, poi demolita). Fino alla metà del secolo scorso la statua era esposta nel periodo quaresimale per la tradizione dei "sepolcri": nella Settimana santa era consuetudine visitare le chiese per adorare queste sculture del Cristo deposto dalla Croce.
Presbiterio
Due gradini danno accesso all'ampio presbiterio che ospita sul fondo l'altare marmoreo del Noale, terminato nel 1824, ma consacrato solo nel 1858. L'opera neoclassica fu concepita per valorizzare l'affresco staccato della Madonna dei Lumini, opera di Stefano dall'Arzere, ora sorretto da due angeli, opera dello scultore padovano Rinaldo Rinaldi, allievo di Antonio Canova.
Il paliotto marmoreo dell'altare raffigurante "L'Ultima Cena" proviene dalla demolita chiesa di S. Girolamo o dei Carmelitani scalzi, già in via Beato Pellegrino (fine XVII sec.). Ai lati dell'altare entro due nicchie le statue di S. Marco e S. Prosdocimo (XVIII sec.).
A destra una lapide commemorativa ricorda la prima consacrazione della chiesa: 29 giugno 1446.
L'attico è decorato con due angeli in altorilievo, opera di G. Ferrari (XIX sec.).
All'inizio del presbiterio a sinistra, si trova il fonte battesimale, proveniente dalla antica parrocchiale di S. Giacomo, ospitato dal 1810 al 1944 nella Scoletta adibita a Battistero.
Successivamente al trasferimento del fonte battesimale in chiesa fu eseguita la statua di Giovanni Battista di Luigi Strazzabosco (1954) e furono affrescati da Fulvio Pendini i due angeli sulla parete.
Sulla parete sopra il fonte battesimale è collocata l'urna funeraria del capitano della Serenissima Matteo Reina (posta nel 1573). Dalla parte opposta, sopra la porta che immette nel chiostro, si ammira il monumento funerario di Tiberio Deciani, professore di diritto presso lo Studio patavino (morto 1582), attribuito allo scultore F. Segala: il busto-ritratto del defunto è sostenuto idealmente dalle figure allegoriche del Diritto e della Giustizia.
A destra, sopra la porta che immette nella sacrestia, il pregevole settecentesco organo Lorenzi.
I parapetti delle cantorie dell'organo sono decorate con sei dipinti (tre per lato) narranti la vicenda relativa allla miracolosa cessazione della peste del 1576 per intercessione della Vergine, venerata nell'immagine della Madonna dei Lumini. Le tele sono opera di G.B. Bissoni (1619). Cantoria sinistra: "Il popolo padovano venera l'immagine della "Madonna di dietro Corte"", "La Vergine appare a padre Felice Zuccoli provinciale dei Carmelitani", "L'affresco della Madonna di dietro Corte è staccato e posto sul palco-altare".
Cantoria destra: "Traslazione dell'affresco al Carmine", "La Vergine appare al capitano di Padova Alvise Zorzi", "L'affresco è collocato sull'altare maggiore della chiesa del Carmine".
La cupola, dei cui rifacimenti si è detto nella sezione relativa all'architettura della chiesa, è affrescata con l'Incoronazione della Vergine al centro ed episodi mariani sulle pareti laterali: Traslazione della casa di Loreto, Proclamazione di Maria madre di Dio nel concilio di Efeso, Battaglia di Lepanto, Apparizione della Beata Vergine a Bernadette. Gli affreschi, di mediocre fattura, sono opera del pittore bolzanino Antonio Fasal (1933-34).
Ai lati del presbiterio si trovano due cappelle, anch'esse di destinazione funeraria, rinnovate nella seconda metà del Seicento dal nobile Vincenzo Giesia e affrescate Dette cappelle non sono attualmente più agibili.
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Altare
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Altare, particolare
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Madonna dei Lumini
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Madonna dei Lumini
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Fonte battesimale
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Organo settecentesco e parapetto con dipinti del 1619 (G.B. Bissoni)
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Il restauro delle pareti del coro della Basilica del Carmine
Relazione dell'architetto Mario Bortolami alla fine dei lavori di restauro (Giugno 2019)
La chiesa della Madonna del Carmine (basilica dal 1960) è stata edificata a partire dal 1313 grazie alla donazione del 1292 di alcune case da parte di Antonia sposa di Tomasino Palmerio degli Episcopelli. Il disastroso crollo del 1491 del tetto e di parte delle murature portanti ha determinato una sostanziale ristrutturazione della chiesa del Carmine a partire dal 1494 diretta, fra gli altri, dal grande architetto Lorenzo da Bologna. “Sopravvisse alla rovina del coperto della chiesa del 1491 la cappella maggiore con l’abside pentagonale... Dateremo pertanto l’abside del Carmine alla metà circa del XIV secolo”. Così scriveva Cesira Gasparotto nel 1955, confermando che le strutture dell’abside restano quelle originarie della costruzione della chiesa gotico-romanica.
Agli inizi dell’Ottocento si procedette col rifacimento dell’area presbiteriale su progetto di Antonio Noale con la realizzazione del maestoso apparato architettonico dell’altare maggiore che, di fatto, ha separato la navata della chiesa dall’area del coro trecentesco, largo quasi 7 metri, lungo più di 9 metri, ed altro più di 8 metri. Da allora, per questo ampio spazio iniziò una fase di utilizzo come magazzino della chiesa e avvenne un continuo degrado delle sue pareti dovuto anche a copiose infiltrazioni d’acqua piovana avvenute decenni fa.
Le indagini diagnostiche sulle pareti hanno permesso la scoperta della presenza dell’originario marmorino ottocentesco posto al di sotto di uno strato di scialbatura a base di calce che dava alle pareti uno scuro colore marrone-beige con ampi tratti di degrado per percolazioni verticali, ampie esfoliazioni dovute all’umidità capillare di risalita e stacchi di porzioni dovute a rigonfiamenti dell’intonaco. Inoltre, per tutto il perimetro è stata ritrovata la fascia di base, alta circa due metri, di colore grigio-azzurro, eseguita con pittura oleosintetica con motivi geometrici, posta a imitazione dello spazio degli stalli del coro.
L’intervento di restauro, promosso e favorito dal parroco don Alberto Peloso, ormai giunto a conclusione, quindi, ha provveduto al recupero del marmorino esistente, alla pulizia e recupero della fascia di base, alla scoperta e recupero dell’ampia cornice floreale di una pala già presente nel centro della parete di fondo, alla pulizia dei portali laterali in marmo ammonitico di Verona, al restauro e ripristino delle antiche finestre con i relativi meccanismi di apertura-chiusura. È in corso di pulizia anche il pavimento in terrazzo alla veneziana. Di conseguenza, si sta provvedendo alla pulizia e ricollocazione degli stalli lignei del coro e, posta al centro, dell’antica carretta della Madonna del Carmine, attribuita al famoso scultore Giovanni Bonazza.
Il restauro di questo luogo di valenza storica ed artistica, quindi, ha avuto lo scopo di restituirgli la sua “dignità” per un coerente uso di culto e pastorale.
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Solennità liturgiche
MADONNA DEI LUMINI
La festa della Madonna dei Lumini ricorre il 12 ottobre, viene celebrata la domenica più prossima a tale data e tradizionalmente dà l'avvio alle attività pastorali della parrocchia.
Essa rievoca la liberazione dalla peste del 1576 per il miracoloso intervento della Madonna, venerata nell'immagine della Madonna dei Lumini che si trova sopra l'altar maggiore. Il dipinto, attribuito da Monterosso (sec. XVII) a Stefano dall'Arzere (1515 ca -1575 ca), è databile stilisticamente agli anni 40 del Cinquecento. In origine aveva forma rettangolare, ma fu ridotto nella attuale forma ellittica quando alla fine del Settecento si progettò il rinnovo dell'altare maggiore.
L'ing. Antonio Noale, progettista del nuovo altare, decise di ridurne il peso perché il dipinto potesse essere sorretto dai due angeli, commissionati a Rinaldo Rinaldi, scultore allievo di Antonio Canova. Andarono così perduti lo sfondo e l'inquadratura del gruppo.
L'altare concluso nel 1824 fu inaugurato nel 1858, quando già la chiesa dei Carmelitani era parrocchia da alcuni decenni.
Il dipinto ad affresco, oggetto di grande devozione popolare che si manifestava con l'accensione di ceri o lumini per implorare grazie, era noto come Madonna di dietro Corte, quando in origine si trovava sulla lunetta di un sottoportico di una casa di proprietà Salvazzi dietro la corte del Capitano.
Nell'estate del 1576 la peste spopolava le città di Padova e di Venezia (ricordiamo la vittima più illustre: il grande Tiziano) quando la Vergine apparve in visione dapprima al padre provinciale dei Carmelitani padre Felice Zuccoli e alcuni giorni dopo al Capitano della città Alvise Zorzi. La Madonna annunciava la liberazione dalla peste se il dipinto di dietro Corte fosse stato traslato sull'altare maggiore della chiesa del Carmine.
Dopo preghiere penitenziali e digiuni, le autorità civili e religiose di comune accordo deliberarono il trasferimento dell'affresco presso la chiesa del Carmine. Contrariamente ai timori espressi dai tecnici, il distacco della preziosa immagine avvenne con grande facilità e il dipinto fu collocato entro un telaio posto sopra un palco, sistemato a guisa di altare.
La sera del 12 ottobre 1576 ebbe luogo il trasporto con una solenne processione cittadina cui parteciparono tutte le autorità religiose e civili non impedite dal morbo, alla luce di torce, fiaccole, candele, come voto alla Madonna salvatrice. Da allora infatti non ci furono più morti per la peste che in breve tempo cessò.
A perenne testimonianza dell'evento, una grande iscrizione latina incisa su una lapide di pietra nera è collocata sul lato destro del presbiterio. Alle fonti documentarie e letterarie si aggiungono quelle pittoriche: come in un racconto a puntate, tutte le fasi della vicenda relativa alla Madonna dei Lumini sono illustrate nei sei dipinti della cantoria dell'organo, opera del pittore Gian Battista Bissoni (1574 c.–1634 c.).
A sinistra:
- Il popolo venera la Madonna di “dietro Corte”
- La Madonna appare a padre Felice Zuccoli
- Distacco dell'affresco
A destra:
- Traslazione dell'immagine al Carmine
- La Vergine appare al capitano Alvise Zorzi
- La Madonna dei Lumini è collocata sull'altar maggiore del Carmine
In memoria di questo miracoloso evento la città di Padova fece voto di compiere ogni anno nella ricorrenza della Purificazione di Maria (2 febbraio) una pubblica processione cui dovevano partecipare tutto il clero della città, i deputati, gli artigiani i signori di Sanità, le autorità in carica e tutto il popolo.
Essendo un omaggio pubblico della città alla Madonna, i Deputati cittadini ne avevano deliberato precise modalità: la processione partiva dalla Cattedrale e raggiungeva la chiesa del Carmine dove si celebrava la solenne Messa cantata. In tale ricorrenza era obbligo offrire al celebrante un “completo apparamento sacerdotale e una tovaglia per l'altar maggiore per una spesa complessiva di 300 ducati aurei”. I partecipanti alla processione dovevano portare ciascuno una candela da una libra, un quarto delle candele era per la chiesa del Carmine e il restante per altre istituzioni cittadine, “affinché si preghi per la salvezza di Venezia e di Padova”. I Deputati legittimamente impediti a partecipare dovevano comunque mandare l'offerta, sotto pena di perdere il diritto di voto.
Il Carmine era perciò considerato il Santuario mariano cittadino ben prima che il titolo venisse sancito ufficialmente (16 luglio 1914, Papa Pio X). In chiesa sono raffigurati due grandi scudi crociati emblema dell'antico comune padovano (sopra l'organo e in alto al centro nella controfacciata), altri più piccoli si trovano scolpiti sui capitelli in sacrestia.
Il pellegrinaggio continuò nei secoli fino al 1868 quando la tradizione fu interrotta, ma non cessò la celebrazione della festa della Madonna dei Lumini che viene ricordata con particolare solennità anche ai giorni nostri.
Negli ultimi tre anni il parroco Mons. Alberto Peloso ha voluto ripristinare la dimensione cittadina della ricorrenza invitando l'Amministrazione, il Consiglio e i dipendenti comunali a presenziare alla Messa solenne delle ore 11.
Anche la processione viene mantenuta, sebbene non segua più l'antico percorso: dopo la recita del S. Rosario alle ore 18 in chiesa, la processione con le candele accese entra nel chiostro percorrendone il perimetro per l'occasione illuminato da tanti lumini quindi esce in piazza Petrarca per rientrare in basilica.
Già il chiostro illuminato lungo il perimetro e al centro da tanti piccoli lumi crea un'atmosfera intensamente spirituale, ma il senso del divino si accentua nel ritorno della processione in chiesa.
La basilica è immersa nel buio si avanza piano, ciascuno con la propria fiaccola in mano e in fondo, sopra l'altare maggiore, circondata da tante piccole fiamme appare la sacra immagine della Madonna con il Bambino, che sembra quasi prendere vita al tremolio delle fiammelle, accogliendo maternamente i suoi devoti.
MADONNA DEL CARMINE
Alla “Beata Vergine Maria del Monte Carmelo” è dedicata la festa che si celebra annualmente il 16 luglio con grande solennità.
La Vergine Maria è particolarmente venerata dall'ordine carmelitano, immagine della perfezione cui essi aspirano, colei che dà un volto umano al Verbo che si incarna, che conserva e medita nel suo cuore le parole del Signore.
Dalla prima comunità di eremiti del Monte Carmelo in Palestina fu fondato l'ordine dei Carmelitani che, a seguito delle persecuzioni in Palestina, si diffuse in Europa nel XIII.
Oggi i Carmelitani non amministrano più la chiesa padovana, ma la devozione a Maria, regina del Carmelo è sempre viva e presente.
Durante la giornata della festa si susseguono le messe, tutte molto affollate di devoti provenienti non solo dalla città, ma dall'intera provincia e anche oltre. Alla messa delle 11 viene benedetta l'uva primaticcia i cui grappoli vengono simbolicamente appesi alla mano della seicentesca statua della Madonna del Carmine. Questa statua lignea raffigura la Madonna vestita di un ricco abito con il Bambino in braccio, pure vestito, entrambi coronati. Il bimbo regge lo scapolare, mentre la Madonna sull'altra mano ha lo scettro. La Madonna del Carmine viene sempre rappresentata con Gesù in braccio, non solo come madre del Divin Verbo, ma anche come mediatrice tra il fedele e Gesù.
Un ricco apparato di nuvole e angioletti circonda la statua della Vergine.
Fino a qualche anno fa l'intera struttura, estremamente pesante, veniva collocata su un mezzo a motore e portata così in processione per le vie del quartiere. La processione sempre molto seguita da numerosa folla si svolge tuttora nel tardo pomeriggio del 16 luglio, ma si porta a spalla da parte di volonterosi parrocchiani solo la statua della Vergine con il Bambino, che è comunque di peso non indifferente. Al rientro dalla processione e dopo un'ultima messa delle ore 20 ci si ritrova nell'adiacente spazio all'aperto del patronato per un momento di festa conviviale e di intrattenimento, per piccoli e grandi, sempre molto atteso dalla comunità del Carmine.
16 luglio: la statua della Madonna del Carmine viene portata in processione per le vie del quartiere
Nella stessa giornata del 16 luglio si rinnova la tradizione della consegna dell'abitino della Madonna o scapolare, ossia un pezzetto di stoffa appeso a una cordicella che il devoto porta su di sé in onore di Maria.
Lo scapolare non è un semplice segno di devozione, ma impegna il devoto laico a comportarsi secondo la spiritualità carmelitana che ha nella Madonna il suo modello di riferimento. Coloro che ricevono lo scapolare si impegnano: a vivere in grazia di Dio confessandosi frequentemente, a compiere il proprio dovere nella vita quotidiana, a pregare la Vergine con il S. Rosario, a celebrare solennemente le feste in suo onore, affidandosi totalmente a Maria.
L'istituzione presso la chiesa del Carmine della Compagnia dell'abitino della Madonna, risale al 1619, ma si riferisce all'apparizione (1251) della Vergine a S. Simeone Stock, superiore generale dei Carmelitani, cui la Madonna affidò lo scapolare chiedendo che i devoti lo portassero su di sé fino alla morte in cambio della sua protezione durante la vita e della mediazione di grazia per la vita eterna.
Il dipinto la Vergine consegna lo scapolare a S. Simeone Stock, opera del pittore G.B. Bissoni (1574 ca.-1634 ca.) era collocato in chiesa sopra il banco della Compagnia di fianco all'altar maggiore, ora invece si trova in sacrestia.
Testi a cura di Alida Litardi
- Riproduzione riservata -
BIBLIOGRAFIA
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V. MANCINI, "Uno sguardo su Domenico Campagnola", in Padova e il suo territorio 186 aprile 2017, pp. 13-16
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“Ai Carmini” a cura di don ALBERTO PELOSO, Padova, 2010
“All'ombra del Cupolone” 2010-2016
"Il restauro del chiostro del Capitolo della Basilica di S. Maria del Carmine in Padova 1982-1986", 1986 “All'ombra del Cupolone” ed. speciale in occasione del 50° anniversario del sacerdozio di mons. Lino Giacomazzo, 2002
“La comunità del Carmine saluta don Lino Giacomazzo", 11 ottobre Madonna dei Lumini, 2009
"La Madonna dei Lumini di S. Maria del Carmine in Padova 1576-1976", Padova, 1976
"Madonna del Carmine in Padova", senza data